Pensare alle politiche giovanili oggi significa innanzitutto pensare alla promozione delle opportunità di lavoro rivolte…
Ma chi sono questi NEET ?
In molti post ho fatto emergere riflessioni ed attenzioni al tema dei NEET ed ultimamente il tema sta entrando nell’agenda delle riflessioni attorno ai giovani ed al lavoro. Sulla base dei dati emergono più interpretazioni del ruolo e della reltà dei NEET ma in questo breve post che si ispira ad un articolo dell’ IRES mi sembra ci siano le caratteristiche definitive essenziali.
Sembra che il termine NEET (Neither Employed nor in Education or Training) sia apparso per la prima volta nel 1999 in un rapporto sull’esclusione sociale dei giovani voluto dal primo ministro Blair in Inghilterra, in quel caso ci si riferiva a giovanissimi drop out particolarmente svantaggiati: senza alcuna qualificazione formale con limitate competenze e senza opportunità di acquisirle sul lavoro, a cui offrire incentivi sia per proseguire la formazione sia per altre attività (ad es. lo sport) atte a favorire l’inclusione sociale.
Oggi dalle statistiche emerge che la popolazione NEET non si compone più solo di giovani inattivi e non interessati a lavorare ma anche da molti giovani alla ricerca del lavoro o comunque disponibili a lavorare.
E allora perchè chiamarli NEET? Non li si può chiamare semplicemente disoccupati o inattivi? Da una ampia letteratura emerge che si possono desumere tre fondamentali parole chiave per circoscrivere il fenomeno o la “sindrome” NEET come condizione specifica rispetto alle precedenti definizioni:
– joblessness: assenza/uscita del lavoro dall’orizzonte di vita dei giovani
– discouragement: scoraggiamento/sfiducia per delusione nella ricerca del lavoro
– disengagement: disimpegno dalla ricerca attiva di opportunità formative o lavorative, ma anche di partecipazione alla vita sociale
Queste tre condizioni si alimentano a vicenda portando comunque complessivamente ad una situazione di “social exclusion”. Ma i NEET oggi non sono solo questo, in gran parte si tratta di giovani in cerca di lavoro, motivati a trovarlo e attivi a cercarlo. Oppure persone che per situazioni famigliari, condizioni di salute o scelte personalei, si dichiarano non interessate ne’ disponibili a lavorare.
L’indicatore odierno dei NEET dà conto di un insieme molto più eterogeneo di soggetti e ciò non aiuta a comprendere i problemi per cercare soluzioni per due motivi: – si espande uno stereotipo negativo (di passività, disimpegno, se non rifiuto verso il lavoro) su molti giovani peggiorandone la considerazione da parte di altri con riflessi negativi sulla motivazione ad attivarsi – si finisce per stigmatizzare la situazione di chi si vede attribuire la definizione al punto di renderli ancora più esclusi
Una situazione così complessa mi fa pensare alla necessità di occuparsi principalmente di tutti quei giovani che facilmente potranno rientrare nella condizione di NEET, ma soprattutto di quelli che più difficilmente riusciranno ad uscirne, in particolare quei giovani a bassa qualifica e spesso anche immigrati.
Cosa provare a fare? Tre proposte sulle quali sto lavorando personalmente ed attraverso azioni condivise:
– offrire ai giovani effettive opportunità di istruzione e formazione professionale per colmare le lacune sulle competenze fondamentali
– agire in tempi più precoci perchè le difficoltà che si evidenziano tra gli adolescenti non si alimentino con nuovi afflussi dalle età e dai cicli di istruzione precedenti
– concentrare gli impegni nei confronti del sostegno all’inserimento lavorativo dei più giovani già fuori dai circuiti dell’istruzione-formazione